A causa della carità: Prefazione di Andrea Giannasi del saggio “L’eccidio della Certosa di Farneta”

Prefazione al saggio “L’eccidio della Certosa di Farneta” di Walter Ramacciotti.

A causa della carità

di Andrea Giannasi

Walter Ramacciotti completò questa ricerca nel 2006 laureandosi presso l’Università di Pisa, Facoltà di Scienze Politiche, nel Corso di Laurea Specialistica in Politiche e relazioni internazionali. Discusse la tesi con la prof.ssa Anna Vittoria Bertuccelli Migliorini.

Ramacciotti, nel saggio, affronta il tema del ruolo del clero lucchese durante il periodo della Resistenza soffermandosi poi sull’eccidio della Certosa di Farneta. In questo lungo lavoro di ricerca intervista numerosi testimoni e raccoglie documenti grazie a Carlo Gabrielli Rosi e a Lilio Giannecchini, rispettivamente presidente del Museo Storico della Liberazione di Lucca, legato all’Associazione Toscana Volontari della Libertà, e direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Lucca.

In appendice i documenti provengono proprio dai due archivi, arricchiti da alcune ricerche come quella ottenuta scrivendo a La Grande-Chartreuse a S. Pierre de Chartreuse, grazie all’archivista Dom Luc Fauchon e quelle del Priore della Certosa Dom Basilio.

Tra le tante figure che emergono nel periodo tra il 1942 e il 1944, ovviamente quella di Mons. Torrini, Arcivescovo di Lucca, del martire Don Aldo Mei, degli aderenti all’Azione Cattolica, degli Oblati, ma anche di Mons. Roberto Tofanelli. È importante soffermarsi in questa breve introduzione su una figura così importante come quella di Tofanelli perché richiama, in tempi non sospetti, l’impegno della parola e dell’esempio di Cristo, in una società perduta nella violenza e nella guerra.

Mons. Tofanelli duramente attaccato dai fascisti lucchesi perché in più di una occasione durante le prediche in San Martino – era Canonico della Cattedrale – aveva “pronunciato frasi con dirette allusioni” nei confronti del Regime. Il virgolettato è del Federale di Lucca Mario Piazzesi che si lamenta con il Prefetto. Prefetto che riceve lamentele anche dal Questore, Coniglio, proprio perché Mons. Tofanelli, nel gennaio del 1942 aveva espresso, durante l’omelia, “una critica larvata alla politica razziale del Regime”. E ancora: “La fratellanza degli uomini predicata dal Tofanelli sia in contrasto con i principi per i quali l’Italia è entrata in conflitto”.

Ma cosa diceva il Canonico della Cattedrale dall’ambone durante le prediche? Da un documento che Ramacciotti ha reperito presso l’Istituto Storico della Resistenza di Lucca si legge: “Ho letto in questi giorni – racconta Mons. Tofanelli – un libro tedesco ‘Dio e il Popolo’. Al secondo capitolo ho letto: ‘Dove vi sono combattimenti vi sono fronti. I fronti sono evidenti: uno è Cristo, l’altro è la Germania. Noi vogliamo sostituire a questa religione (notate bene) a noi estranea, la fede di un’altra religione che è venuta dall’anima del popolo’. Dunque la religione cattolica è estranea alla civiltà dell’Europa: ma questa è una bestemmia questo è il colmo dell’ingratitudine umana. Sostituire la religione di Cristo: ma che cosa sarà questa nuova religione”.

Riferendosi poi a quanto avvenuto nel 1793 in Francia, al saccheggio delle chiese, al massacro dei Preti, Tofanelli parla della religione di stato al tempo moderno. E poi conclude: “E noi italiani sapremo fare ciò che disse un fiero repubblicano, Pier Capponi: ‘Date fiato alle vostre trombe e noi suoneremo le nostre campane’. Signori, dimenticate che le nostre campane più di una volta hanno suonato a morto”.

Parole forti, scomode, recitate durante la Messa delle ore 12, l’8 marzo del 1942 e riportate nel rapporto n. 948 che il Questore Coniglio fa avere al Prefetto. Documento importante perché correlato a penna da una nota con il titolo sottolineato: Diffidare il don Toffanelli (nel testo originale il cognome con due ‘f’).

Così il Canonico della Cattedrale viene invitato in Questura nella quale un funzionario di P.S. – Igino Caioli, Commissario Aggiunto – gli notifica una diffida che Mons. Tofanelli firma, aggiungendo però che “egli aveva inteso riprendere argomenti trattati, specialmente in questi ultimi tempi, dalla stampa del Regime ed anche da ‘L’Artiglio’, organo della locale Federazione provinciale fascista”. Il Prefetto aggiunge poi che, per il momento, non si deve fare altro, “soprattutto per riguardo all’Arcivescovo di Lucca, il quale ha sempre dimostrato sentimenti di sincero patriottismo e di rispetto verso il Regime e le sue istituzioni”.

Tra i documenti reperiti da Ramacciotti anche le delazioni, il fango, le dicerie, raccolte dalla Questura e inviate al Prefetto, atte a gettare discredito proprio sulla figura del Monsignore che non si ferma. Tanto che sempre il Questore il 22 giugno scrivendo al Prefetto riporta il contenuto della predica del giorno precedente tenuta in Duomo durante la Messa di mezzogiorno: “Dio, creando la Chiesa Cattolica, ha inteso creare una società universale organizzata, e non un Impero, giacché i fondatori di Imperi hanno una vita effimera e lasciano sempre dietro di loro cumuli di rovine intrise di sangue e lacrime”.

Molto probabilmente a quel punto le pressioni sono talmente forti che l’Autorità Ecclesiastica ferma Mons. Tofanelli. E questo lo si apprende da un telegramma inviato al Ministero dell’Interno da parte del Prefetto. Documento nel quale si parla della spiegazione del Vangelo fatta domenica 11 ottobre 1942 in Cattedrale.

Monsignor Roberto Tofanelli morì nella sua casa di Mutigliano il 15 dicembre del 1943 alle ore 12 e 15. Aveva 61 anni.

È importante che Walter Ramacciotti, tra i tanti documenti, abbia trovato e pubblicato anche una lettera riservata-urgente del 7 maggio del 1945, nella quale a guerra ormai terminata, il nuovo Questore di Lucca scrivendo al nuovo Prefetto di Lucca lo informa sull’azione politica del clero.

“È tuttora vivo il ricordo delle prediche del defunto Reverendo Monsignore Prof. Roberto Tofanelli, insegnante di teologia presso il Seminario di Lucca che, in epoca anteriore al 25 luglio 1943, dal pulpito della cattedrale, alla presenza sempre di pubblico numeroso e scelto, faceva chiaramente allusioni allo imperialismo dei regimi autoritari, che con la loro politica di espansione e di sopraffazione avevano trascinato il mondo nell’immane conflitto. Tali prediche richiamarono l’attenzione delle autorità fasciste del tempo che minacciarono Monsignor Tofanelli di conseguenze anche gravi”.

La vicenda di Mons. Tofanelli ci aiuta a comprendere – ma per fare ciò è doveroso calarsi nel tempo, contestualizzando – lo “strappo” che si era creato tra il Regime fascista e la popolazione. Da una parte una oligarchia politica e amministrativa tesa a conservare lo status quo; dall’altra le famiglie di tanti giovani partiti per i fronti d’Africa o per la Campagna di Russia e caduti, o prigionieri o dispersi. La sempre più diffusa convinzione dell’inutilità della guerra e del disastroso e deleterio impegno accanto ai tedeschi, ormai erano pensieri radicati in tutti gli ambienti lucchesi e Mons. Tofanelli dava voce a queste lamentele.

Non dobbiamo dimenticare che la chiesa a Lucca e in provincia rappresentava un perno, un collante per la società. Il sacerdote era con il medico condotto, il maestro e pochi altri, il punto di riferimento delle comunità contadine o proto-operaie (in provincia le fabbriche sono la Manifattura e la Cantoni a Lucca, lo jutificio al Piaggione, la Metallurgica a Fornaci di Barga) che vivevano ancora sul lavoro ciclico stagionale e sulle ricorrenze religiose. Ma soprattutto i cittadini vedevano nella Chiesa un punto di riferimento salvifico soprattutto nei momenti di difficoltà. Per questo motivo dopo l’8 settembre 1943 sono le canoniche e i preti ad essere i punti di riferimento. Per chi fuggiva dalle persecuzioni “razziali”, come gli ebrei salvati dagli Oblati; per coloro che avevano scelto di non aderire alla Repubblica Sociale e per questo renitenti e ricercati; per i patrioti o gli antifascisti (ricordiamo l’alto esempio di Augusto Mancini rinchiuso per questo al San Giorgio), ma anche per i tanti, tantissimi, che si nascosero “per non essere presi” durante i rastrellamenti e le stragi dell’estate del 1944. La scuola elementare di Nozzano è forse il più vivo esempio di quanta crudeltà venne usata su coloro che tedeschi e fascisti italiani reputarono nemici.

E tra questi luoghi di martirio naturalmente la Certosa di Farneta che Ramacciotti descrive e racconta attraverso i documenti, le testimonianze, e aggiungendo in appendice alla tesi, la sentenza della Corte Militare di Appello di Roma, nel procedimento penale a carico di Langer Hermann. Il sottufficiale delle SS tra i responsabili dei fatti della Farneta, nato il 6 novembre 1919 ad Hannsdorf (Germania).

Per l’autore del lungo lavoro la Certosa di Farneta è luogo dove Cristo si è fatto uomo e dove la carità ha raggiunto il più elevato punto di ascesi a Dio. Walter Ramacciotti studia la strage per dimostrare – e in questo l’intento è riuscito – che si può porre un argine al male assoluto e che seppur tra gli uomini alberghi l’odio, questo può essere contenuto.

Tra i molti punti che l’autore affronta, e che lascio ai lettori, è a mio avviso importante soffermarsi su un aspetto: la questione dell’imprudenza. I Certosini vennero criticati per aver osato troppo nella loro decisione di accogliere e fare carità. Potremmo porci una domanda: hanno fatto bene ad aprire le porte della Certosa a tutti, esponendosi alla rappresaglia nazista? La risposta ce la fornisce, senza ombra di dubbio, proprio Dom Gabriele Costa che in quei giorni di prigionia affermò: “Se ci uccidono, ditelo, che ciò è stato davvero a causa della carità!”.

Walter Ramacciotti a questo proposito scrive: “Innanzi tutto, non bisogna perdere di vista che ci sono due specie di prudenze: l’una acquisita, virtù umana, naturale; l’altra, virtù infusa, soprannaturale, molto strettamente legata alla carità. Ora, nella morale cristiana, la prudenza naturale, sebbene sia così preziosa, non è la guida sovrana dell’azione. È doppiamente subordinata alla prudenza soprannaturale e, per lei, alla carità, regina e forma delle altre virtù”.

Su questo tema negli anni successivi alla strage si è dibattuto cercando di capire se fu veramente un errore quello di aver aperto le porte a tutti coloro che cercavano aiuto. Certamente imprudenza, ma come poi scrive Baglioni: “Ma se guardiamo la realtà, la radice, non si trattava di un conflitto tra leggi; era l’opposizione di due inconciliabili ideologie: da un lato la dottrina, anzi la Fede e la Carità cristiana, dall’altro l’inumano e cieco fanatismo nazista”.

Ramacciotti pertanto porta a compimento un lavoro che diventa esempio e testimonianza per le nuove generazioni.

In ultimo il perché di questa pubblicazione. Si tratta di un doveroso omaggio ad un uomo, uno studioso, rappresentante della Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane (FIAP), presidente onorario dell’Associazione Toscana Volontari della Libertà (ATVL), membro fin dagli anni Sessanta del Centro di Educazione Democratica (CED). Amico di Carlo Gabrielli Rosi condivise la nascita e lo sviluppo del Museo Storico della Liberazione di Lucca, luogo della memoria lucchese della resistenza bianca, autonoma, cattolica. Della resistenza al male che subirono donne e uomini senza armi, sacerdoti, prigionieri di guerra, Internati Militari, perseguitati.

Walter Ramacciotti – il suo archivio è conservato presso ATVL – è stato un uomo riflessivo, attento, preciso, che si rispecchia in questo lungo lavoro. Un uomo che ha ricoperto anche ruoli politici e amministrativi sempre contraddistinti dall’ascolto e dal saper essere “rappresentante” della voce degli altri. Ogni sua ponderata scelta ruotava sempre su una riflessione che riguardava il prossimo.

Un esempio è il lavoro di stesura e correzione sul discorso che tenne il 25 aprile del 2019 dal palco in Cortile degli Svizzeri. Affrontava proprio il ruolo del Clero nella Resistenza. Anzi di un argomento caro anche all’ultimo presidente del Museo Storico della Liberazione Col. Fausto Viola: le Resistenze. Perché aver dimenticato, che la lotta di liberazione non fu condotta da una sola parte politica, ma nacque a Cefalonia, a Porta San Paolo, in Corsica, dal conato di patriottismo offerto dalle unità del Regio Esercito, fu spunto libertario di cattolici, socialisti, azionisti, autonomi, comunisti, fu rifiuto degli Internati militari, fu mano tesa della Chiesa, fu resistenza e resilienza delle donne, ecco quella dimenticanza, è un male che pesa oggi sulle nostre scelte antifasciste.

E se proprio non si è compreso sottolineo, perché è un dovere morale nei confronti di Walter Ramacciotti: la lotta di Liberazione che fu condotta, oltre che da partigiani comunisti, anche da patrioti e partigiani cattolici, socialisti, azionisti, autonomi, proprio in provincia di Lucca vide operare il cattolico Leandro Puccetti con il Gruppo Valanga, e poi soprattutto Manrico Ducceschi “Pippo” comandante del battaglione autonomo XI Zona, oggi elevati esempi di partecipazione alla lotta di uomini con ideali cristiani.

E ancora aggiungo che la lotta di Liberazione fu spartiacque tra chi aderì al fascismo della RSI e chi decise di non farlo e su questo non dobbiamo mai dimenticare l’alto esempio dei 600.000 Internati Militari Italiani nei campi di concentramento in Germania. Tema questo caro a Carlo Gabrielli Rosi che al Museo della Liberazione raccolse testimonianze e cimeli. La lotta di Liberazione fu lo spazio dove si mossero sacerdoti e cattolici che per carità cristiana aprirono le porte delle loro chiese, delle canoniche dei monasteri. La lotta di Liberazione fu il momento durante il quale le donne si caricarono sulle spalle un paese distrutto accompagnandolo fuori dalla guerra. Mai dimenticare Leila Farnocchia.

Le Resistenze che hanno dato origine alla Costituente nella quale, tra le pluralità delle idee, trovò piena condivisione il pensiero di costruire un’Italia democratica e repubblicana. Un’Italia di tutti.

Ecco aver ristretto il campo degli antifascisti in un unico ambito politico e ideologico pesa oggi sulla democrazia, che appare difesa da pochi, perché altri negli anni sono stati esclusi dal tavolo.

Questo era un argomento spinoso per Walter Ramacciotti e Fausto Viola, così come lo fu per Carlo Gabrielli Rosi – che pagò personalmente l’aver scelto di parlare di Resistenze -, ma lo è e lo deve essere per tutti coloro che credono ancora nei valori della democrazia. Per coloro che riconoscono inutile una melodia suonata da una sola nota.

Lucca ha avuto la fortuna di aver visto intorno al tavolo di ATVL e del Museo della Liberazione uomini e donne come Maria Eletta Martini, Italico Baccelli, Sergio Mariani, Pietro Petrocchi, Nuska Hoffman, Andrea De Vita, Aldo Muston, Giovanni Carignani, Giorgio Di Ricco, Augusto Mancini, Raffaele Fambrini e molti altri ancora che hanno vissuto l’orrore del nazifascismo e per questo sono sempre stati pronti ad alzare difese contro i totalitarismi.

Walter Ramacciotti è stato un uomo che ha lavorato a stretto contatto con uomini e donne fedeli ai principi costituzionali. Di pensiero socialdemocratico – lui che sentiva forte l’alto e nobile esempio di Matteotti – ha servito lo Stato inteso come comunità di cittadini liberi e ha lasciato in eredità proprio il messaggio del saper ascoltare tutti; del non lasciare nessuno indietro proprio come in quel campo di grano quando sentì gli spari e pensò fossero rivolti a lui bambino. Aveva dieci anni in quel terribile 1944.

Questo libro è dunque omaggio che alla fine è lo stesso Ramacciotti a fare ad ognuno di noi. Raccontandoci dell’alto esempio del Clero lucchese e del martirio dei Certosini della Farneta, Ramacciotti ci indica la via da seguire. Mai avversi l’uno all’altro, mai irrispettosi, mai dolenti e soprattutto mai soli.

Andrea Giannasi

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