«Il mattino dell’8 settembre 1943, a noi, duecento reclute del 39 Rgt. Art. d’Armata, fu data la sveglia più presto del solito. Il programma era tutto nuovo. Si doveva andare in distaccamento a Bibbiano, distante poco più di 20 Km da Reggio Emilia, per fare qualche esercitazione un po’ più militaresca, ma soprattutto per lasciare sgombra la piazza d’armi non so bene per quali altri arrivi».
Iniziò così la tragedia di Enzo Furiozzi che con altri migliaia venne fatto prigioniero e portato in Germania con carri bestiame. Internato prima nel “Kriegsgefangenerlager II A”, il campo di concentramento di Neubrandenburg con il numero 102028 e poi nello Stalag 269 a Wipperfhürt, a una trentina di chilometri a nord-ovest di Colonia, nel cuore della Renania, Furiozzi perse casualmente lo status di I.M.I. (Internato Militare Italiano). Fu così che fortunosamente ottenne la possibilità del rimpatrio come civile non più abile al lavoro e, una volta giunto in patria, entrò a far parte della Resistenza.
A distanza di 75 anni dall’8 settembre 1943 questo libro pone – come scrive l’autore – «Il 25 aprile 1945 e ciò che esso rappresenta tra le cose di cui deve essere costantemente e ben curata la memoria storica. Tra i tanti fatti e le tante vicende che la nostra giovane Nazione ha vissuto, questa data ha un significato particolarissimo e non surrogabile: rappresenta la conquista di quella libertà che ci fu a lungo conculcata, e, con essa, la nascita dell’Italia moderna, libera, viva e vitale».
«Ci passarono poi in rivista: un lungo e meticoloso cerimoniale. Dovemmo aprire zaini, cassette, bagagli; rovesciare le tasche; aprire i portafogli; uno appresso all’altro in lunghe righe. Vennero sequestrati tutti gli oggetti di qualche valore, macchine fotografiche, carta moneta, coltelli e attrezzi, ecc. Poi ci avviarono alla disinfestazione, un rito questo, che si ripeteva, come vedemmo, ogni volta che si entrava o si usciva da un lager.
Ci si spogliava nudi, si mettevano i nostri panni attorno a un trespolo di ferro numerato, avendo cura di lasciar fuori carte ed oggetti di cuoio (scarpe, portafoglio): i panni finivano in una grande autoclave e noi, in gruppi di trenta-quaranta, venivamo avviati in un camerone dal cui soffitto appositi ugelli versavano forti getti d’acqua caldissima. Una specie di terra saponaria, che col sapone aveva poco o niente a che vedere, avrebbe dovuto aiutarci a fare una vera pulizia.
Poi si passava, in più file, allo spidocchiamento specifico: qualcuno, generalmente una prigioniera russa o polacca, seduto su una panchetta, intingeva un pennellone da imbianchino in un secchio di petrolio e lo passava poi intorno all’inguine, sotto le braccia e avanti un altro».
Volontario della Libertà. Prigioniero in Germania, partigiano in Italia 1943-1945
di Enzo Furiozzi
Pagine 252 – euro 15,00
ISBN 9788832870350
Tralerighe libri editore