Renato Salvetti durante la Seconda guerra mondiale fu richiamato nel corpo di Cavalleria corazzata di Pinerolo. Dopo l’8 settembre entrò nella formazione ligure dei partigiani Garibaldini di Savona.
Alla vigilia di Natale del 1943 fu arrestato insieme ad altri patrioti e, dopo il carcere a Cuneo e poi presso il sesto braccio dei politici alle Nuove di Torino, il 13 marzo del 1944 iniziò il viaggio di deportazione verso il campo di concentramento tedesco di Mauthausen, ove approdò il 17 dello stesso mese. Dopo più di un anno, liberato il campo e terminata la guerra, il 5 maggio del 1945, Renato Salvetti riuscì a uscire dal lager e a percorrere con grande fatica e incredulità il lungo insperato ritorno.
In questo saggio-intervista, Salvetti, ormai novantatreenne, offre al lettore alcuni lucidi sprazzi del suo calvario, facendolo precipitare in un autentico girone infernale. Renato è un testimone prezioso, forse l’ultimo rimasto a gridare l’orrore. Ai giovani ha dedicato tutta la vita che gli è rimasta, ripercorrendo l’efferatezza di una realtà terrificante, per non dimenticare. Ma anche per cogliere il chiarore della speranza, la possibilità di una rinascita, pur avendo subito l’aberrazione; senza arrendersi mai.
«Il mattino alle 4,30 e la sera alle 18,30 veniva fatto l’appello. Tutti dovevamo essere presenti ed eravamo obbligati a stare tre ore in piedi nel cortile sotto qualsiasi tipo di intemperie.
Venivamo chiamati, numero per numero. Chi non si presentava riceveva cinquanta scudisciate. I manganelli avevano all’interno fili di rame e sulla pelle lasciavano segni quasi indelebili.
Durante l’intera giornata, nel lager non si sentiva una campana battere i suoi rintocchi. Si era isolati da tutti e da tutto. Era una sensazione terribile. L’unico rumore era quello della sirena che veniva attivata quando arrivavano gli aerei nemici a bombardare o quando i prigionieri si dovevano alzare per andare al lavoro.
Alle sei del mattino veniva distribuita una brodaglia, come pure alla sera, quando si terminava il lavoro. Verso mezzogiorno ci veniva dato solo un pezzo di pane con una fetta di salame o un po’ di margarina.
Si lavorava dodici ore con la sola interruzione del rancio e si era continuamente in balia dei kapò che picchiavano chiunque avesse disubbidito ai loro ordini. Era pazzesco!
Ricordo un mio compagno di baracca che fu manganellato solo perché si era fermato un istante, dato che aveva la febbre».
Sopravvissuto a Mauthausen. La storia di Renato Salvetti
di Anna Raviglione e Franca Di Palma
Pagine 118 – euro 14,00
Tralerighe libri editore