Martino De Vita svela chi è “Giulia la Rossa”

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Abbiamo incontrato Martino De Vita autore del romanzo “Giulia la Rossa”.

Dopo varie presentazioni a Lucca di Giulia La Rossa, sembra che il tuo libro vada alla grande. Te ne sei mai chiesto il motivo?
Ho scritto Giulia La Rossa, all’inizio, non cosciente di quello che stavo facendo. Man mano che costruivo un personaggio, subito altri si affiancavano al primo. Una delle caratteristiche principali del romanzo è quella serie di ritratti paralleli che raccontano le loro vicende. Dapprima timidamente, come se volessero venire al mondo in punta di piedi, con tutte le loro incertezze, paure, angosce…poi sempre in maniera più decisa, a dimostrare che esistevano già prima di essere create.

Sembrerebbe un esperimento narrativo…
No, non lo è. Non c’è nulla di sperimentale, al contrario di altri miei precedenti romanzi, che possa in un certo senso distrarre il lettore. Forse più che di sperimentalismo si può parlare di un’espansione, di un allargamento di tante esperienze di vita vissuta. Giulia La Rossa poi diventa “consapevole” di quello che è: un romanzo. La sua costruzione evidenzia la mia naturale attrazione verso situazioni non comuni.

Fin dall’inizio, si avverte uno stile narrativo non influenzato, come dire, da facili suggestioni, cioè un mondo anti letterario, lontano dai classici stereotipi pseudo creativi. È questa una sfida con te stesso, o solo una personale interpretazione del Romanzo?
In genere ho sempre scritto con la consapevolezza di affrontare la letteratura in modo diverso, memore delle lezioni dei grandi maestri fra i quali Manzoni e Pirandello. La cultura acquisita nel corso degli anni e quindi, la maturità che ne è derivata, mi hanno permesso di arrivare a uno stile narrativo un po’ fuori dall’ordinario: molti dicono originale, ma l’originalità non è solo inventare storie “paradossali”. Dietro a una invenzione narrativa esiste un pensiero, una ricerca linguistica, una lettura e una scrittura costante. Voglio dire che non basta il talento, la passione, o la semplice vanità. Scrivere è un’arte che non ti insegna nessuno, e quando scopri di averla è bellissimo coltivarla.

Tornando a Giulia la Rossa, il titolo è molto suggestivo…
E’ evidente che il titolo deve catturare, nell’immediato, il pubblico. La sua, per così dire, ambiguità, sembra aver centrato l’obiettivo. La favolosa Alfa Romeo degli anni ‘70 è sempre stata per me una grande attrazione. La stessa di Zàdr, il personaggio Rom, amico di uno dei protagonisti, e che poi diventerà amico di tutti.

Zadr è un personaggio emblematico, uno zingaro che per caso incontra Marietto, il protagonista principale, diremmo il deus ex machina della situazione. Come mai la scelta di un personaggio così diverso dalla nostra realtà?
Una volta che Zàdr si è inserito tra gli altri personaggi, mi sono subito interessato ai Rom, e non solo a quella particolare etnia proveniente dal fiume Indo, e ho fatto le mie ricerche. Ho avuto modo di imbattermi in situazioni che non conosciamo, o che non vogliamo conoscere: il fascino della epopea di un popolo, le sue origini, le consuetudini, il folklore; persino l’applicazione pratica, non codificata, delle sue leggi. Ma soprattutto il rapporto fra cagge (non zingari) e Rom. Ho sempre pensato che l’odio fra le razze potesse essere superato dal confronto fra le diverse culture. Siamo ancora lontani da questo, non credo però che l’utopia narrata possa durare a lungo. Oggi abbiamo maggiori possibilità di stabilire contatti diretti con un mondo che ancora ci fa paura. Come sempre è l’ignoranza che crea i pregiudizi, ma è anche vero che occorre una grande volontà per superarli.

Quello che troviamo in un dialogo serrato tra Marietto e Zàdr, è il racconto dello stesso zingaro (la parola, in questo caso, è usata in modo volgare e offensivo) vittima di un furto! A lui, a un nomade, viene rubata la mitica Rossa. La ritroverà poi, per pura fortuna, parcheggiata in una piazza di paese…
Ho voluto, in particolare, sottolineare il fatto che non solo gli zingari sono ladri, ma anche i cosiddetti cagge. Una banda di malfattori che, attratti soprattutto dal colore rosso, hanno avuto la tentazione di rubarla, per poi quasi subito abbandonarla. Non sarebbe stato facile sbarazzarsi, presso un ricettatore, di quel pezzo da museo. Zàdr, poi, continuando a raccontare a Marietto le sue disavventure, sottolinea che loro, gli zingari”, hanno bisogno di difendersi dalle continue violenze perpetrate da orde di barbari, rappresentate proprio da noi… popolazione civile… culturalmente avanzata…

Nel romanzo, oltre al favoloso rappresentante Rom, troviamo, come si è detto all’inizio, altri numerosi personaggi. Ci chiediamo il perché di questa coralità.
La coralità è l’aspetto forse più spettacolare dell’intero romanzo. Perché tanta gente? Perché tutti devono sapere, perché tutti devono partecipare…Facciamo una rapida visita, per esempio al circo, dove, al di là delle varie suggestioni felliniane, troviamo la completa attuazione della solidarietà: ed ecco il perché di tanti dialoghi. Perché la nuova società deve nascere da un progetto universale. Lo stesso nucleo primario formato da sette, otto persone, diretto da Marietto, è la guida spirituale verso la crescita, verso l’affermazione di un’amicizia unica, tutti intenti, non soltanto nell’ambito personale, ma anche in quello collettivo, ad aiutarsi. Lo stesso turpe episodio capitato a Elisa dimostra quanto i veri amici possano intervenire per salvare una persona.

Ecco: la descrizione dei personaggi femminili, prima fra tutti Elisa, la ragazza un po’ pingue, ma sessualmente desiderabile, è un omaggio non solo al sesso femminile globalmente inteso, ma anche a come certi stati fisici possano essere accettati dalla donna.
Sì, è proprio così. Elisa è fiera della sua rotondità, anche se poi ne è vittima, ad opera del suo ex, Ercole, un essere infame, uno stupratore, un pervertito…ma che poi apparirà solo come un pover’uomo impotente. Lui vuole dimostrare, che le sue prestazioni sono superiori alla media. Sappiamo che i suoi hobby vengono esercitati da una mente fortemente disturbata. Verrà poi sottoposto a un’eccezionale psico-terapia, direi quasi a uno psicodramma che finirà, almeno in parte, per ridimensionarlo. Elisa rivela anche l’eroticità maschile di fronte a un corpo…sovrabbondante, nel senso che più grassa si presenta una donna e meno potrebbe essere desiderata. E invece, credo che accada esattamente il contrario. Nel senso che l’uomo non confesserebbe mai a se stesso di essersi innamorato di una grassona. In realtà la carne attira…

La spiritualità di Marietto è sottolineata non solo dalla sua formazione religiosa, ma anche dal suo mentore, da Padre Faustino…
Sì. Marietto voleva farsi prete, ma padre Faustino si è sempre opposto a quello a cui aspirava. Ma Marietto non ha rinunciato ad andare per il mondo e a consolare gli afflitti, rischiando lui stesso la vita. Padre Faustino poi diventerà eremita, un esempio ancora più emblematico per il nostro pretino…

I personaggi della storia sono davvero tanti…
Sì, ma tutti poi si uniranno per un grande scopo comune, o almeno ci proveranno: per l’amicizia, come già mi sembra di avere sottolineato. Ho cioè voluto ribadire che un sentimento, se è forte, può ancora resistere, o addirittura sovvertire le peggiori, attuali, disastrose tendenze. Un esempio può essere considerato quello fra Valerio, uno dei tanti amici di Marietto, e il suo rivale in amore, Josep, figlio di Zàdr. Si innamorano della stessa donna, della bella cavallerizza che si esibisce nel circo con il suo destriero Gelsomino. Ma dopo i primi screzi iniziali, Valerio si ritira lasciando campo libero a Josep per il solo fatto che lui stesso è stato il primo a innamorarsene.

 

 

Un fatto clamoroso…

Sì, una riprova della grande influenza che Marietto esercita su tutto il gruppo. L’ascendente che il pretino ha sui suoi amici è certamente forte. Forse perché, scoprendo la loro debolezza, i loro limiti di uomini soli, hanno bisogno di una guida che li conduca per mano verso la “salvezza”, come è successo, in modo certamente diverso, a Ercole, un uomo, per così dire, completamente accecato da manie compulsive. La spiritualità del pretino è autentica, acquisita da giovane, perduta e poi riconquistata. Marietto è un uomo forte quanto estremamente vulnerabile, ma ha saputo inculcare agli altri la solidarietà, la speranza e l’autentica fratellanza. In un mondo come il nostro, non è poco riscoprire certi valori.

Un uomo che rivelerà poi tutta la sua personalità quando si troverà in grande pericolo…

Sì: notevole sangue freddo e istinto di sopravvivenza, come lui stesso confessa agli amici, ed è per questo che l’ammirazione nei suoi confronti aumenterà.

Ma anche a Marietto sembra che manchi…qualcosa…

La sua grande delusione è stata quella di non potersi dedicare al sacerdozio. Un complesso che si è sempre portato dietro; ma anche per il fatto di essere un personaggio fuori da qualsiasi contesto sociale.

Molto suggestiva la descrizione del matrimonio fra Marietto e la sua sposa, Occhi di Giada, non a caso una romnì, come gli zingari chiamano le loro donne.

La descrizione del matrimonio è un ulteriore omaggio ai nomadi. Il variopinto modo con cui le donne si vestono, le loro decorazioni, i gioielli, la carrozza degli sposi tutta addobbata…

Forse l’episodio della ricerca del padre di Occhi di Giada può apparire un po’ – come dire – “fuori dal giro” …

Mah, non saprei. Potrebbe sembrare un personaggio marginale, ma d’altra parte è il padre della sposa, anche se viene considerato un autentico ladro, e continuamente arrestato. Occhi di Giada è sempre stata lontano da lui, che ha trascorso gran parte della sua vita entrando e uscendo dalla galera. E dato che la ragazza sta per sposarsi, è naturale che lo voglia con sé, e per magia eccolo che compare.

Un’altra fra le tante sorprese…

Sì. A dire il vero nel romanzo non mancano…

Ma esiste un altro personaggio significativo: Ludwigo, l’avvocato degli zingari, che si innamora di Rosa, la collega di Elisa…

Ludwigo non poteva mancare. Un rom che ha studiato dai cagge. Ecco che con lui si ripete, invertita, la storia fra Marietto e Occhi di Giada.

Anche in questo caso si assiste a una forma di perfetta integrazione fra le due etnie…

Hai detto bene: perfetta integrazione. In questo caso è l’amore che ha fatto il miracolo…

Il romanzo poi finirà con un epico viaggio a Samarcanda…

Viaggio a cui sono affezionato. Non ho visitato quei paesi, ma sono stato in altri mondi…Partendo dalla realtà, mi sono immaginato le reazioni dei partecipanti, raccolti in due camper, quindi in ambienti stretti, a dimostrare che è possibile persino una stretta convivenza. E tutto, a parte qualche disagio durante il percorso, è andato a meraviglia. Marietto poteva dimostrare a pieno la sua conoscenza storica e filosofica in un contesto, come prima dicevo, universale. La Samarcanda di Tamerlano è un altro degli innumerevoli simboli che rappresentano diverse culture…

Le ultimissime scene, poi…

Una grande festa…I figli del vento…sono felici…

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