È uscito il libro per Tralerighe la raccolta di racconti “Storie dal pianeta Veronetta” di Marina Sorina. Storie edite e inedite, scritte nell’arco degli ultimi dieci anni, dove si raccontano i destini degli abitanti di un quartiere molto speciale, antico e moderno, bello e trascurato, pieno di presenze nuove e di preesistenze importanti, con alcune storie ambientate fuori da Verona. L’intento dell’autrice è stato quello di narrare dall’interno le esistenze incrociate degli abitanti del quartiere chiamato Veronetta dove pulsa il cuore vivo e creativo della città. La particolarità della raccolta sta nel fatto di essere scritta da un’autrice di origine straniera, che però non si limita a parlare solo delle persone della stessa provenienza o dal punto di vista puramente femminile. Abbiamo intervistato Marina Sorina.
Come nasce questo libro di racconti?
Si è formato lentamente, con l’accumularsi dei racconti, editi e inediti, che nascevano, anno dopo anno, e alla fine si sono abbracciati in un unico tessuto narrativo. A dir il vero, il loro arrivo è stato interrotto nel 2014, quando sono accaduti cambiamenti politici molto importanti in Ucraina. In quei giorni la mia attenzione era concentrata solo su Maydan, dove migliaia di persone protestavano contro il governo. Scrivevo sugli eventi di attualità, e pubblicavo un reportage dopo l’altro, anche direttamente dalla piazza Indipendenza in centro di Kiev. Volevo fare da tramite fra la realtà Ucraina e gli italiani, dando informazioni di prima mano. Ma le mie parole cadevano nel vuoto, gli articoli venivano commentate solo da chi veniva per insultarmi. Ero pronta ad affrontare i troll, fa parte del percorso, ma non immaginavo di doverlo fare sempre da sola. Fra lo scoramento e la necessita di passare all’azione, la scrittura era rimasta in disparte. Non sentivo più l’urgenza di documentare la vita intorno a me. Ma una persona a me cara, vedendomi trascurare così qualcosa che prima era essenziale, mi ha convinta di riunire i racconti e mandarli per il concorso di “Tra le righe”. Così il libro è stato letto e apprezzato dalla giuria, e spero che avrà una buona accoglienza presso i lettori.
Una vita a raccontare emarginazione e integrazione. Cosa troverà riguardo questi grandi temi il lettore nel suo libro?
Emarginazione? Non direi. Quello che si trova nei miei racconti è la normalità del sentirsi diverso. Ho cercato di intrecciare le vite di chi è arrivato e di chi non si è mai mosso, dimostrando l’universalità dei loro sentimenti. Nei racconti ci sono sia dei personaggi non-conformi che delle persone comunissime, che scoprono in sé delle dimensioni di sentimento celato. L’incontro con l’altro, con lo sconosciuto o la sconosciuta, diventa il punto di biforcazione, oppure un tentativo estemporaneo di fuga dalla routine quotidiana. È tutto nell’occhio di chi guarda. Se vieni in Veronetta, come ha fatto di recente qualche personaggio politico che non vale la pena nominare, con l’intenzione di trovare degrado, lo troverai per forza, anche se sarà lo sporco sotto le tue proprie unghie. La realtà, quella che ho cercato di trascrivere nelle “Storie dal pianeta Veronetta” è ben diversa. Vivendo qui, vedo intorno a me la profondità e la bellezza, vedo l’umanità varia, autentica, e credo che si possa dire lo stesso di molti altri quartieri multietnici dell’Italia. Non bisogna ascoltare le parole di chi tinge tutto di sporco. Più ci cercano di spaventare, meno paura proviamo. La mia intenzione è anche quella di cambiare il punto di vista di chi grida allo scandalo quando vede un capannello di ragazzi in mezzo alla strada o un cassonetto colmo, facendo punto sull’umanità e sui sentimenti di chi ti sta di fronte, o a volte semplicemente raccontando dall’esterno quel che vedo intorno a me.
Veronetta inteso come quartiere che da microcosmo diventa macrocosmo di un mondo globale. Quale la forza della sua narrazione?
La forza deriva proprio dalle particolarità del quartiere, in cui ho la gioia e l’onore di vivere da ormai 10 anni. Intanto, è un quartiere dalle radici antiche, che era sempre stato un crocevia di viandanti, a partire dai crociati che si fermavano qui al ritorno dalla Terra Santa, per curare le ferite e riposarsi dopo il lungo viaggio. C’era una chiesa dei templari proprio in fondo della mia via; c’era un’altra chiesa in cui una vedova ha vissuto per molti anni, assurta poi al rango dei santi, di fatto un personaggio femminile indipendente e forte. Ci abitava anche un eremita che si è incatenato dopo una vita dissoluta e un teologo moderno che è emigrato in Germania e ha fondato un movimento giovanile che fondeva preghiera e folclore. Luogo di nascita e di opere di eminenti missionari cattolici, ed insieme un luogo di malaffare, dove per pochi soldi ti potevano vendere la propria figlia, sul finire dell‘800. Qui ad ogni passo trovi le tracce del passato, e nulla è come sembra, nulla è fisso, immutabile, solenne e intoccabile. Da un angolo ti fissa il busto di Socrate con gli occhi strabuzzati, dall’altro spunta qualche slogan antifa. Una volta c’era una macelleria, ora è un centro culturale. E così via. C’è chi lo chiama “quartiere pericoloso”, chi “barrio meticcio”. Di fatto sta cambiando proprio sotto i miei occhi, facendo l’inevitabile percorso di gentrificazione che lo erode, o meglio, lo commercializza a passi spediti. Per questo era per me così importante documentare, raccontando un certo periodo della storia di Veronetta e le presone che c’erano. Forse un domani resterà poco di questa nostra comunità, ma almeno nel libro sarà rimasta una traccia.
Ci racconti delle sue origini di autrice: come nasce la sua scrittura?
Ho cominciato a scrivere molto presto, ed era una cosa assai naturale nel mio ambiente. Lo devo specificare non per falsa modestia, ma per onorare il gruppo sociale al quale appartenevo. Intorno a me ognuno faceva qualcosa di creativo: poesie, canzoni, romanzi fioccavano. Ovviamente, tutto rigorosamente underground: eravamo nel periodo di declino dell’Unione Sovietica, in una città di scienza e di cultura. Dai 13-14 anni frequentavo un circolo letterario presso il Palazzo dei pionieri, dove ero forse la meno prolifica di tutti giovani genietti della mia generazione. Scrivevo comunque già allora dei racconti. Poi l’emigrazione in Israele, l’approdo a Villafranca, il trasferimento a Verona. Anche se ero capitata in un ambiente amichevole, e lavoravo fin da subito fra le persone cosmopolite e ben disposte verso di me, le differenze culturali, lo scontro con i codici comportamentali diversi era forte e doloroso. Ho cominciato a scrivere proprio per compensare l’impossibilità di esprimermi. Scrivevo in russo, pubblicando ogni tanto nelle riviste letterarie ucraine. Per passare all’italiano mi è voluta una spinta esterna: nel 2006 mi hanno contattato per tradurre qualche libro sui temi di amore internazionale; è finita che l’ho scritto direttamente in italiano. Dopo la pubblicazione di “Voglio un marito italiano” nel 2006 (mi scuso per il titolo, la scelta non era mia), ho pubblicato ancora vari racconti, sia in russo che in italiano.
Il libro è disponibile sul sito https://www.ibs.it/storie-dal-pianeta-veronetta-libro-marina-sorina/e/9788832870251?inventoryId=99490097