Abbiamo incontrato Francesco Sinigaglia autore del saggio “I volti della violenza a teatro”.
Come nasce questo saggio?
Il saggio critico “I volti della violenza a teatro” nasce dall’idea di voler raccontare in chiave contemporanea l’universo teatrale che porta come suo tema ricorrente quello della violenza: fisica, psicologica, verbale, non verbale dal Cinquecento – momento storico in cui è ripresa in modo importante l’analisi delle opere aristoteliche, ed in primis la Poetica, con il suo confronto ai latini – passando per Machiavelli, Pirandello – dove il tema prende una deriva più intellettuale e si sposta progressivamente sulla scena, fino a Dacia Maraini in una prospettiva, per così dire, incentrata sui rapporti casalinghi – nell’intorno compreso tra le mura domestiche dove, almeno teoricamente, regnerebbe la pace.
Il teatro dal 1500 a oggi: i cambiamenti e la similitudine in ambito della tragedia.
La tragedia dal Cinquecento sino all’avvento dal dramma borghese, che segna pressoché la sua fine, ha vissuto momenti di grande attenzione e altri di grande trascuratezza. La tragedia come genere letterario nell’ambito dello scritto in questione è chiara metafora del tema centrale: la grande tragedia del periodo segnalato presenta e sviluppa, in tal senso, l’argomento della violenza nelle sue infinte sfumature.
Dacia Maraini e il suo rapporto con il teatro. Lei ha analizzato alcune opere. Ci può delineare la figura emersa?
Dacia Maraini, oltre che una grandissima donna di lettere, è un’esperta conoscitrice dell’arte teatrale. Partendo dalle carceri e da una propria e personale idea di teatro contemporaneo, mette in scena storie vere d’impronta giornalistica: ella non commenta il fatto, si limita – e forse qui il grande insegnamento – a portare dinanzi agli occhi teatrali una violenza verbale e fisica che sgorga nel sangue; violenza che Aristotele considerava lontana dall’orchestra e dalla scena del teatro greco antico.
La violenza tra finzione e realtà: quando secondo lei l’opera narrativa varca la porta del teatro’.
Il teatro antico nasce dall’idea di finzione della realtà: una persona che finge, traslitterando il latino, corrisponde a una maschera che crea, inventa. Una storia accorda gli attori e gli spettatori in tacito accordo non scritto. Ogni bambino sin dalla primissima infanzia inventa una storia, immagina di essere altro e di essere altrove: “Facciamo finta che ero…”. Così, l’antichissima letteratura greca sorge da una certa teatralità degli aedi e rapsodi: costoro cantavano e musicavano grandi temi, tra i quali anche la violenza. Nel mondo contemporaneo è anche valido il discorso inverso: nel mondo della cultura odierna è anche facile incontrare drammaturghi e scrittori che rielaborano un discorso narrativo sotto la forma del dialogo.