“Con Primo Levi davanti a Medusa”
Caterina Frustagli verso la zona grigia del cuore
Per chi ama Primo Levi l’11 aprile è una data segnata da profonda tristezza e quest’anno anche da una ricorrenza importante, il trentennale della scomparsa. Manca Primo Levi, manca da morire ad una società moribonda. Manca la timidezza garbata dell’adolescente che vive “una vita da inibito” di cui soffre tremendamente. Manca la rabbia del giovane e brillante chimico che fa fatica a laurearsi prima e a trovare un primo impiego poi, non per demeriti suoi, ma perché “di razza ebraica”. Manca l’ingenuità del giovane e sprovveduto partigiano che si arrischia sulle montagne, perché stanco di subire l’ignominia delle persecuzioni razziali. Manca il reduce che torna a casa, peregrinando per mezza Europa e ritrovando, nel viaggio verso casa, la direzione verso un nuovo se stesso, manca il testimone tenacemente impegnato che si rifiuta di “utilizzare il linguaggio lamentoso della vittima”, ma che prepara il terreno al giudice-ascoltatore ed il conto alla Storia. E infine, ma non per ultimo, manca lo scrittore chimico dalla parola acuta, resa affilata dalla lucidità dell’autore e straordinariamente potente dalla sua trasfigurazione letteraria.
Nella lettera contenuta in Aspettando l’alba e altri racconti (Einaudi, 2014), Mario Rigoni Stern ricorda alcuni versi del suo amico Primo che, fieramente, scrive di aver condiviso con due amici scrittori “la vista di Medusa che non li ha impietriti”. Cosa succede ora a noi, orfani di Levi, di fronte alle Meduse, che in ogni tempo si ripropongono con il loro sguardo malefico? Succede che inorridiamo, pietrificandoci. Succede che ci facciamo consumare dall’inedia, fino a giustificare qualunque stortura morale. L’alpinista Primo Levi, che ha scalato quelle montagne per noi, parlando “per conto terzi” di chi è rimasto sommerso ad Auschwitz e in ogni luogo della ferocia nazi-fascista, ci indica ancora, dopo trent’anni, la strada. È la strada impervia del “giusto”, quello che prova vergogna “quando la sua volontà non è valsa a difesa” di fronte al Male del mondo. È la strada scavata dalla parola che non si piega, perché “di un altro metallo”, che non si fa modellare se non dall’onestà intellettuale di chi non si erge a maestro, ma si lascia attraversare dalle domande sulla fragilità umana e ci accompagna, come un Virgilio attento e sempre presente, nella zona grigia del nostro cuore.
Come avrebbe letto Primo Levi la realtà in cui viviamo? Non possiamo saperlo. Resta la sua modalità schietta e rispettosa di dire le cose, la sua elegante disponibilità a parlare con qualsiasi interlocutore, resta il suo invito a meditare di una condizione passata, ma non irripetibile e della natura umana sempre a rischio di fissare, per l’eternità, Medusa.
Caterina Frustagli è autrice del saggio “Primo Levi davanti all’assurdo” (Tra le righe libri).
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