Abbiamo incontrato Marco Benadusi autore del saggio “Terrorismo rosso” (Tra le righe libri)
Come nasce il saggio?
L’idea iniziale è nata dal delitto Biagi, cioè dalla fine, dall’ultimo omicidio compiuto dal terrorismo rosso in Italia. Quel delitto era connesso alla battaglia politico-mediale sull’art. 18, vale a dire alla questione licenziamenti. Vi era un complicato intreccio tra comunicazione politica, sistema dei media e propaganda armata. Da tempo interessato allo studio dei rapporti tra stampa e potere, con particolare riferimento ai cosiddetti anni di piombo, iniziai ad analizzare nel dettaglio le dinamiche tra questi diversi elementi, che caratterizzavano appunto il delitto Biagi.
Vi sono analogie con la precedente storia del terrorismo di sinistra?
Si. Le differenze tra il terrorismo rosso degli anni Settanta e quell’ultima fiammata di fine secolo, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, con l’omicidio D’Antona e Biagi, sono molte ed evidenti, soprattutto per quel che riguarda il contesto. Eppure dal punto di vista che avevo messo al centro della mia attenzione le analogie mi sembrarono maggiori. Maturai la convinzione che l’intera storia della lotta armata non si potesse veramente comprendere se non addentrandosi nella giungla delle dinamiche comunicative. Occorreva quindi affrontare a mente aperta – intendo senza posizioni precostituite – il ginepraio rappresentato da mistificazioni e depistaggi, informazione “deviata” e controinformazione militante, versioni “istituzionali” e campagne terroristico-promozionali ed anche silenzi e tabù. Un vero campo minato, che però bisogna necessariamente attraversare se si vuole far luce su uno dei capitoli più cruciali dell’Italia repubblicana. Di qui ha preso forma il libro.
Su quali fonti ha basato questo lavoro di ricostruzione?
È stato un lavoro di ricostruzione lungo e complesso. Questo poderoso volume di 350 pagine, denso di note e che copre oltre tre decenni, è il frutto di una scrematura fatta su una primissima bozza quattro volte più ampia. La mole di documenti che ho consultato è mastodontica. Sono fonti aperte, in gran parte agli atti delle varie commissioni parlamentari d’inchiesta, e poi giornali, libri, riviste.
Emergono fatti inediti?
Il libro non è finalizzato a stupire con scoop più o meno eclatanti. Quel che mi premeva era fornire una lettura originale del terrorismo rosso che facilitasse una memoria se non condivisa – operazione forse impossibile – ma quanto meno non così dilaniata. Detto ciò, i fatti inediti in realtà non mancano, anzi si dipanano lungo tutti i passaggi fondamentali di questa mia ricostruzione della lotta armata di sinistra.
Compreso il caso Moro?
Si. Dimostro che alcune piste d’indagine, come la pista Markevitch – il direttore d’orchestra le cui vicende segnarono la sorte della Commissione Stragi – sono infondate. Metto in luce le “polpette avvelenate”, i depistaggi, le distorsioni informative relative al sequestro. Quel che viene fuori, da questa mia analisi, non è un complotto planetario. Però viene fuori una storia del caso Moro per molti versi inedita, incluso il momento clou, cioè l’epilogo, l’uccisione del prigioniero e il ritrovamento del corpo in via Caetani.
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