Pubblichiamo la prima parte del secondo capitolo del saggio di Caterina Frustagli su Primo Levi. Il libro verrà presentato sabato 10 settembre a Terracina nell’ambito del Book festival alle ore 21 in piazza Domitilla.
CAPITOLO II
La produzione letteraria di Primo Levi
I tre mestieri: chimico, scrittore e testimone
Diversi autori hanno sottolineato come la produzione letteraria di Primo Levi sia stata influenzata dalle diverse attività cui lo scrittore si era dedicato lungo tutta la propria esistenza.
Palandri[1] identifica, nello specifico, ben tre mestieri che caratterizzarono la vita dello scrittore torinese: il mestiere di chimico, quello appunto di scrittore ed infine, ma non da ultimo, quello di testimone della Shoah.
Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da antenati ebrei piemontesi provenienti da Spagna e Provenza, di cui descrive lo stile di vita in Argon, il primo dei racconti de Il Sistema Periodico. La madre Ester e la sorella minore Anna Maria costituiscono per Primo riferimenti affettivi fondamentali. Gli anni di studio liceali, altamente formativi, presso il prestigioso Liceo D’Azeglio di Torino si caratterizzano per la passione per le materie scientifiche che portano Levi ad iscriversi nel 1937 alla facoltà di scienze dell’Università di Torino, nel corso di Chimica. Gli studi universitari sono fecondi di stimoli intellettuali ed incontri umanamente arricchenti. Inizia in questo periodo il connubio tra scienza e scrittura che caratterizzerà tutta la produzione letteraria dello scrittore, non solo in termini di contenuti, ma proprio rispetto allo stile asciutto e concreto della prosa di Levi. Numerose infatti sono le metafore di stampo scientifico che condensano, attraverso efficaci immagini, lo stretto rapporto che intrecciano nell’autore, i due mestieri di chimico e scrittore. A tal proposito Palandri[2] cita per esempio la metafora della “separazione della ganga”, riferendosi al processo di progressivo rimodellamento della prosa, ripulita dagli aspetti superflui e meno pregiati, come avviene per il minerale che, prima di essere utilizzato, deve essere ripulito dalla ganga, cioè il materiale di scarto.
Dopo l’università, arrivano i primi impieghi, inizialmente a Lanzo e poi a Milano dove frequenta un gruppo di intellettuali torinesi con cui, dopo l’8 settembre, matura la scelta di entrare a far parte della Resistenza. Attivo in Val d’Aosta, viene arrestato il 13 dicembre del 1943, condotto al campo di concentramento di Carpi Fossoli, dove resta internato fino alla deportazione nel febbraio del 1944. Inizia così a Monowitz, campo satellite del lager di Auschwitz, la terribile esperienza di prigioniero, a cui Levi riesce a sopravvivere grazie ad una serie di fortuite coincidenze quali la conoscenza di un tedesco scolastico, la sua formazione da chimico, che gli consentirà di lasciare le mansioni di lavoro più pesanti, per operare in un laboratorio ed infine l’amicizia con Lorenzo Perrone, un muratore di Fossano che lo aiuterà a sopravvivere, fornendogli furtivamente del cibo.
L’esperienza concentrazionaria rappresenta per Levi uno spartiacque, tanto che lo scrittore definisce il campo di concentramento la sua vera università, in cui l’unica realtà conoscibile diventa quella della natura e dei rapporti tra gli umani, mentre la religione e la riflessione di tipo intellettualistico verranno spazzate via. Questa esperienza viene raccontata in Se questo è un uomo, che Levi scrive di getto, al rientro in Italia nel 1946, anno in cui trova lavoro come chimico in una fabbrica di vernici, ad Avigliana vicino a Torino. Solo nel 1985 tuttavia, Levi confessa a Germaine Greer, che quest’opera non poteva essere composta senza alcuna pianificazione, perché la scrittura non è mai spontanea.
Al ritorno in Italia Levi si sposa con Lucia Morpurgo, da cui ha due figli: Lisa (1948) e Renzo (1957). Inizia ufficialmente, in parallelo con l’attività di chimico, quella di scrittore, segnata in principio da alcune difficoltà. Einaudi infatti respinge inizialmente il manoscritto di Se questo è un uomo, con un giudizio negativo di Natalia Ginzburg e l’edizione pubblicata dall’editore De Silva, nel ottobre del 1947, riscuote poco successo.
Nel 1956 tuttavia una mostra a Torino sulla deportazione fa rinascere l’interesse del pubblico rispetto alla Shoah ed Einaudi ripubblica, nel 1958, stavolta con grande successo editoriale, Se questo è un uomo, opera a cui Levi nel frattempo aveva continuato a lavorare, inserendo significative modifiche. In seguito a questo successo, nel 1962, Levi inizia a scrivere La tregua, con una consapevolezza diversa nella scrittura. La produzione letteraria assume una profondità crescente, che scavalca l’esperienza biografica e storica dell’uomo. Levi si trova a vivere pienamente il doppio ruolo di testimone e di scrittore, scontrandosi con fervore contro le posizioni estreme del revisionismo negazionista.
Allontanandosi storicamente l’esperienza del Lager, Levi inizia a cimentarsi come scrittore di altri contenuti, meno drammatici e, con lo pseudonimo di Damiano Malabella, scrive e pubblica nel 1967 alcuni racconti nella raccolta Storie naturali. L’adozione di uno pseudonimo viene spiegata dall’autore stesso come un tentativo di risposta ad un senso di colpa personale rispetto alla trattazione di argomenti più leggeri. Dal punto di vista letterario, è nel 1971 con la pubblicazione con il proprio nome di una nuova raccolta di racconti dal titolo Vizio di forma, che Primo Levi si riappropria della propria identità di scrittore.
Nel 1975 lascia la direzione della fabbrica di vernici Siva, raccoglie le proprie poesie ne L’osteria di Brema e pubblica Il sistema periodico, in cui rivisita le proprie vicende biografiche in una chiave letteraria originale ed insolita. Nel 1978 pubblica La chiave a stella, dove il materiale di partenza, costituito dalle personali e decennali esperienze di Levi nelle fabbriche, viene filtrato dal punto di vista dell’operaio piemontese Faussone.
Nel 1981 compila l’antologia personale La ricerca delle radici, mentre nel 1982 pubblica, con il titolo Se non ora, quando?, il racconto su un gruppo di ebrei russi che si costituisce come banda partigiana. Nello stesso anno traduce poi, su invito di Giulio Einaudi, il Processo di Kafka. Nel 1983 traduce La via delle maschere e Lo sguardo da lontano di Claude Lévi-Strauss. Nel 1984 dall’incontro con il fisico Tullio Regge nasce il libro Dialogo, pubblicato dalle Edizioni di Comunità, come riflessione di Levi sulla propria biografia. Nello stesso anno pubblica con Garzanti Ad ora incerta, raccogliendo tutte le sue poesie. Nel 1985 pubblica L’altrui mestiere che raccoglie gli articoli apparsi prevalentemente su La Stampa. Il 1985 è anche l’anno di alcune conferenze di Levi negli Usa.
Ernesto Ferrero[3] sottolinea come le tre anime di Levi si siano delineate e sviluppate talora per contraddizione, talora per sintesi. Quando Levi arriva a Milano nel 1942, è un giovane chimico con la passione per il flauto, ma soprattutto con una vocazione per la scrittura. Legge Rabelais ed intanto si sperimenta come scrittore con qualche racconto e con la poesia Crescenzago (1943). Il giovane deportato ad Auschwitz dunque possiede già l’occhio dello scrittore, capace di mantenere un’attenzione viva ed attenta persino ed, anzi soprattutto, in una realtà atroce come quella concentrazionaria.
Al ritorno dal campo, sostiene Ferrero, il Levi scrittore resta prigioniero del Levi testimone. Tale era infatti la serietà dell’impegno morale a testimoniare, di cui Levi si sentiva investito, da mettere in secondo piano l’attività pura di scrittura. Solo nel 1975, con il pensionamento, dalla propria attività lavorativa di chimico, Levi abbraccia il nuovo ed unico status di scrittore a tempo pieno. Nel 1986 infine sistematizza tutte le proprie riflessioni in merito all’esperienza nel Lager all’interno de I sommersi ed i salvati, considerato il testamento spirituale dell’autore. Risale allo stesso anno la celebre intervista con Philip Roth per il New York Review of Books.
Il 1987 è l’anno della controversa morte di Primo Levi. L’11 aprile infatti, in seguito ad una caduta nella tromba delle scale della propria abitazione, lo scrittore viene trovato senza vita. Non è stato tuttavia possibile accertare l’eventuale intenzionalità della caduta e l’evento continua ad essere interpretato in maniera controversa da storici e letterati.
2.2. La metafora del termitaio
Cavaglion[4] paragona, riprendendo un’immagine utilizzata dallo stesso Levi, lo sviluppo della produzione dello scrittore ad un termitaio. Scrive infatti Levi a proposito di Se questo è un uomo, “Il libro mi cresceva tra le mani quasi spontaneamente, senza piano, né sistema, intricato e gremito come un termitaio”. (SP p. 156)
(Il resto lo potete leggere sul libro “Pirimo Levi davanti all’assurdo” di Caterina Frustali – Tra le righe libri).
Note
[1] Enrico Palandri, Primo Levi, Mondadori Education Spa, Milano 2001.
[2] Ibi, p. 29.
[3] Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007.
[4] Alberto Cavaglion, Il termitaio in Primo Levi: un’antologia della critica, a cura di E. Ferrero, Giulio Einaudi Editore, Torino 1997.
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